sabato 24 marzo 2018

Federico Mello


Classe 1977, giornalista e blogger, ha lavorato per «il Fatto Quotidiano», l’«Huffington Post»,
per Servizio pubblico su La7 e Ballarò su Rai3. Oggi è autore della trasmissione Un giorno da pecora su Radio
1 Rai. Esperto di media, Internet e social network, ha scritto numerosi saggi, tra i quali L’Italia spiegata a mio
nonno (2007), La viralità del male (2017) e, con Imprimatur, Il lato oscuro delle stelle (2013), Un altro blog è
possibile (2014) e Le confessioni di un nerd romantico (2016).






«Solo Dio sa cosa Facebook sta

facendo al cervello dei nostri figli».

Sean Parker,
(ex presidente Facebook)



Abbiamo un individuo che ha il pieno controllo sull'esperienza di due miliardi di persone nel mondo. Neanche il presidente degli Stati Uniti ha questo tipo di controllo”.

Facebook è il social più utilizzato al mondo. Ma il suo successo è determinato anche dalla mole di dati che raccoglie sui propri utenti. Federico Mello, analizza per la prima volta le tecniche usate dal colosso di Zuckerberg per aumentare la dipendenza dei suoi utenti e al tempo stesso sfruttare i loro dati, attraverso la psicologia comportamentale e vari trucchi provenienti dal gioco d’azzardo.

Cosa direbbe Zuckerberg della propria creatura?

L’autore, in un capitolo, immagina che sia lui a parlare in prima persona della sua azienda: una descrizione spietata.

Abbiamo quantità immense di dati sui nostri utenti. È scritto chiaramente nella normativa che abbiamo preparato e che chi utilizza i nostri servizi, implicitamente approva: «Raccogliamo i contenuti e le altre informazioni che fornisci quando usi i nostri Servizi, anche quando crei un account, crei o condividi contenuti e invii messaggi o comunichi con le altre persone». Sappiamo tutto sulla dipendenza dei nostri iscritti. Sono tanti dati, certo, ma potrebbero non bastare. Per questo «Riceviamo le informazioni su di te e sulle tue attività all’interno e all’esterno di Facebook da partner terzi». Con queste informazioni, come diciamo esplicitamente, «conduciamo sondaggi e ricerche, testiamo le funzioni in fase di sviluppo e analizziamo le informazioni in nostro possesso per sviluppare e migliorare i prodotti e servizi, sviluppare nuovi prodotti o funzioni» ma anche per «inviarti comunicazioni di marketing» e per «migliorare i nostri sistemi pubblicitari e di misurazione».

Nella Silicon Valley, verso la fine degli anni Dieci, hanno cominciato ad attecchire le nuove frontiere degli studi sull’intrusione: dopo gli anni della programmazione e delle righe di codice, hanno cominciato a farla da padrone le neuroscienze, la psicologia applicata, la scienza del piacere.”

Federico Mello spiega nel dettaglio come Facebook agisca, adottando ed estendendo all'ennesima potenza le tecniche utilizzate nel gioco d'azzardo per trattenere i giocatori davanti alle slot machine. “Per avere successo – spiega l'autore – ogni piattaforma o applicazione virtuale deve offrire più ricompense possibili, ma soprattutto, le deve offrire con un altro grado di variabilità e imprevedibilità”. Quando trovano un 'like' a un post, quando un contenuto viene condiviso o commentato, gli utenti del social network ricevono una ricompensa e sono spinti a interagire ancora di più e soprattutto a rimanere più tempo davanti allo schermo. Ed è questo che interessa al fondatore di Facebook. Perché non è vero, come molti credono, che il social network viva di pubblicità. Il suo business sono il nostro tempo e i nostri dati che inseriamo volontariamente, spesso inconsapevoli del loro reale utilizzo.

Selezionando i contenuti che appaiono agli utenti, Facebook è in grado di condizionare i comportamenti di acquisto, ma potenzialmente anche politici, di due miliardi di persone. Un potere immenso se si pensa anche alla libertà di scelta dei contenuti: sul social le fake news, sottolinea l'autore, hanno lo stesso spazio e possibilità di diffusione delle notizie reali.

Ecco perché, auspica Mello, l'utilizzo di questi dati dovrebbe essere maggiormente disciplinato. In attesa di un improbabile intervento istituzionale, all'utente non resta che ritagliarsi fette di tempo bio: “vuol dire che posso connettermi, posso fotografare, aggiornare, filmare, ma che posso anche decidere di non farlo – spiega l'autore –. Il tempo bio è prezioso perché ci libera, almeno per un po', dai disturbi più speciosi della iper-connessione”.

Imprimatur Editore

mercoledì 14 marzo 2018

Daniele Perotti

Lauree in Scienze politiche all’Università di Pavia e in Storia moderna all’Università di Genova, ha lavorato per breve tempo nel mondo dell’editoria, quindi nella pubblica amministrazione, dove ha ricoperto il ruolo di dirigente di vertice in numerosi Comuni italiani. È stato per vari anni docente di Diritto pubblico presso l’Università Bocconi di Milano. Nel corso degli anni ha coniugato la passione per la ricerca storica con il rigore degli studi giuridici, pubblicando articoli a carattere scientifico e divulgativo. È da sempre impegnato, come cittadino, e come “tecnico”, a difendere i valori della Costituzione nata dalla Resistenza e a divulgarli, compito che ha assunto pubblicamente anche in occasione dei referendum costituzionali del giugno 2006 e del dicembre 2016.


Senza dignità del lavoro non c’è 
dignità dell’uomo.

Senza diritti sociali non ci sono diritti civili.

Senza diritti civili non c’è libertà.

 



Ha da poco compiuto settant’anni, ma la nostra resta una Costituzione sana, robusta e proiettata verso il futuro, benché da tempo sotto l’assedio di maldestri riformatori che vorrebbero cambiarne forma e sostanza.
Tuttavia l’attacco che ha avuto le conseguenze più gravi è stato quello non dichiarato, e per questo più insidioso, portato direttamente al suo cuore: ai suoi principi fondamentali.
Ne è principale protagonista l’ideologia neoliberista che tutto vuole sottomesso e regolato da un mercato globale senza regole, con la mercificazione del lavoro, del tempo, delle relazioni fra le persone, dei rapporti sociali, della natura, dei beni e del patrimonio comune, con le sue false rappresentazioni della realtà.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, enormi interessi economici e finanziari transnazionali e globali hanno garantito il dominio culturale dell’ideologia neoliberista e delle sue fallaci narrazioni attraverso le teorie di economisti e giuristi seguiti da politici subalterni sedotti e conquistati dal “nuovo” pensiero unico.
I diritti sociali, espressioni reali della sovranità popolare, e i valori a cui sono ispirati, che si ritrovano nei principi fondamentali della nostra Costituzione, sono stati progressivamente erosi, rimossi, disconosciuti e violati da una classe politica vacua e inadeguata a raccogliere il prezioso patrimonio lasciato in eredità dai padri costituenti. Perché esso non vada disperso, occorre evocare i contenuti politici e la tensione ideale che ispirarono le donne e gli uomini della Resistenza. Lo può e lo deve fare l’Italia migliore che ieri è stata quella della lotta al fascismo e oggi è quella della solidarietà e della consapevolezza che un altro mondo è realizzabile, attraverso l’impegno politico contro l’ingiustizia sociale e il profitto dei pochi accumulato a danno dei molti, contro il veleno razzista che alimenta i conflitti fra gli ultimi e rafforza il dominio degli sfruttatori.